venerdì 24 aprile 2009

Sparare bendati

La prima sensazione che ho provato è stata di visualizzare un'allegoria rappresentante un latinos bendato che, menando fendenti casuali, colpiva le innumerevoli pignatte appese ovunque intorno a lui. In questo paese fare un "inchiesta" è talmente facile, che ora mi spiego perchè trovo argomenti tanto interessanti e prodotti con così pochi mezzi in rete.
Qualche giorno fa in università mi sono trovato a leggere questo articolo che si commenta da solo pubblicato sull' e-polis Milano. Ora, non ci vuole un genio a capire che fosse fazioso, ma secondo me andava oltre; sconfinava in quella classica reverenza tipica dello schiavo. In particolare non riuscivo a spiegarmi perchè un free - press che potrebbe essere veramente indipendente [ha le fortune di essere piccolo, autofinanziato o quasi (n.d.b. pensavo, io innocente) e quindi non sottoposto a grosse pressioni] dovesse invece inginocchiarsi in questo modo. Inoltre una qualità così scadente di leccaggio di bassa lega allontana i lettori, non li avvicina, quindi è controproducente.
Poi, l'illuminazione.
Quando assonnato percorro il tunnel di Cadorna e poi le vie del duomo la mattina, quali sono i giornali più letti? Cosa viene preso da quella fascia che non spenderebbe 1 euro in un giornale ma se si trova in mano qualcosa, perchè no, lo legge? E soprattutto, a chi interessa modificare opinioni piuttosto che guadagnare?
Incuriosito ho fatto qualche ricerca, scoprendo da Lello Voce, ex giornalista di E-polis, nella sua lettera di dimissioni, che:

"...c’è dell’altro. A far parte del nuovo comitato di amministrazione di E-Polis è stato chiamato Marcello Dell’Utri, longa manus editoriale (e non solo) del Monopolista Unico Italiano, Cav. Berlusconi. Non solo: lo stesso Dell’Utri è stato (o sarà) messo a capo della società controllata che provvede al reperimento delle inserzioni pubblicitarie, insomma a capo dell’azienda che ha economicamente nelle sue mani la sopravvivenza materiale di un quasi free-press come il nostro.

Una società che, con sinistra assonanza, ha già deciso di mutare il suo nome in Publi-Epolis.

Di mestiere faccio il poeta e do ai suoni e alle parole un valore particolare. Per me questo nome è già un programma.

Dell’Utri rappresenta tutto ciò contro cui da decenni mi batto con rabbia, con lui davvero non ho nulla a che spartire, meno che mai se mi si costringe nell’angolo dell’edizione locale del Treviso. Anche io, nel mio piccolo, sono dunque costretto a pensarla come Morrione [ndr. ex Direttore RAI News 24] e a ritirarmi.

Non lo faccio perché sono un’anima bella, lo faccio perché credo che ci sia bisogno di chiarezza, lo faccio perché credo che qualcuno debba, sia pure con voce flebile come la mia, segnalare che in Italia un esperimento meraviglioso di libertà, intelligenza, intrapresa, come E Polis, è caduto – direttamente o indirettamente – nelle mani dei Soliti Noti e che dunque la libertà di informazione è sempre più in pericolo. E Polis con Dell’Utri non è più la stessa cosa. E questo è un dato di fatto..."

Comincio ad apprezzare Emilio, lui fa un gran lavoro. Tenere nascosta la verità è più difficile che scoprirla, perchè la merda, si sa, tende a venire a galla.


Link:
Intervista al "giornalista" autore del pezzo, Angelo Mellone
Secondo me arriverà in alto, anche lui con la "vertigine della solitudine d'altura".

domenica 19 aprile 2009

C'è chi pagherebbe per vendersi


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In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: "Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?"-
Indro Montanelli

Ritengo stupefacente la capacità di alcuni nel mettersi proni di propria volontà.
Qualunque tipo di studio e cultura in questa pur martoriata scuola ci ha insegnato ad agire secondo i nostri dettami morali, a non cancellare le nostre idee e la nostra identità in favore di quelle del padrone di turno. Al liceo ogni versione, ogni storia raccontata plasmava la mia concezione secondo questi dettami. L'Antigone supera i divieti di leggi umane (identificate nel Creonte di turno) che trova ingiuste e seppellisce il fratello seguendo la sua scala di valori; Prometeo sfida persino le leggi di Zeus per portare il fuoco all'uomo, suo protetto.
La cosa che mi stupisce è che non ero solo. Quanti hanno percorso il mio stesso iter, quanti strade diverse ma con la stessa impronta. Non so dove siano, ma usciranno, è inevitabile. Quando scatterà qualcosa riemergeranno certi ricordi. Proprio non riesco a concordare con Montanelli, nonostante certi spettacoli.


Link alla pietosa scena ispiratrice di tutto ciò:
Panico a Domenica IN per una battuta sul Cavaliere



sabato 18 aprile 2009

Solleticare

Recentemente ho visto pubblicato in vari blog questo interessante articolo:

"Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.

Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella. (...)

Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è.(...)

Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know – how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d’altronde."

Giacomo di Girolamo, redattore giornale di Sicilia.


Trovare articoli veri è talmente raro che come ne appare uno diventa un "mito" tra i fruitori della rete.

Qual' è lo scopo di un pezzo? O meglio, perchè io leggo un pezzo?

La prima parola che mi viene in mente è "solleticare". Un articolo dovrebbe "solleticare" la mente di chi lo legge, collegare le sinapsi del cervello per mettere in comunicazione accadimenti, posti, persone, situazioni che magari mi erano sfuggiti, creare ponti logici che ad una prima occhiata non avevo visto. Il giornalista, così come un bravo giallista alla conclusione della sua opera, dovrebbe svelarmi ciò che ho davanti agli occhi ma non sono stato in grado di vedere. Leggendo queste righe di Di Girolamo, ho concretizzato pensieri che non riuscivo ad afferrare pienamente ma che svolazzavano in attesa di essere fissati; come una ragnatela, l'articolo li ha immobilizzati e ordinati. Mi ha arricchito.

Questo è il motivo per cui leggo, il motivo per cui la gente legge. Informarsi e arricchirsi.

Questo è ciò che non trovo nei quotidiani, ma solo nella rete. Questo è perchè i quotidiani moriranno. Le menti dei lettori ora continuano per inerzia a leggere, ma si stancheranno del nulla impacchettato che viene propinato indifferentemente in una o l'altra testata. Cambia solo l'intestazione della prima pagina. Magari dalle ceneri dei lacchè fiorirà qualcosa di nuovo.


Link:

Peter Gomez sulla crisi della stampa