
Oggi ho letto un articolo che sintetizza le mie opinioni riguardo la cena che ha coinvolto il giudice Mazzella, Berlusconi e altri. Lo riporto qui di seguito in parte e lo linko, ma vorrei aggiungere una precisazione in diritto alle parole del giornalista, che probabilmente ha fatto altri studi e non ha questo supporto.
Mazzella, per rispondere alle critiche sulla sua sconveniente cena, inizia una lettera con "Caro Silvio,.." e scrive: "lo rifarei, a casa mia invito chi voglio io."
L'idea della libertà personale che sovrasta la funzione istituzionale non è solo aberrante per chi la vede da cittadino, come dice Aldo Schiavone nell'articolo, ma è anche un concetto inesistente in giurisprudenza.
Tutto il diritto infatti, in primis quello processuale, è impregnato di norme volte a evitare che la persona giudicante abbia qualunque rapporto con la persona giudicata:
Codice di procedura civile
Art. 51 (Astensione del giudice)(le stesse regole valgono per la ricusazione, ovvero quando viene cacciato il giudice, nda)
Il giudice ha l'obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie e' parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o e' convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;(...)
5) se e' tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti;
(...)In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice puo' richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi
Tralasciando il fatto che Mazzella è stato al servizio di Berlusconi diverse volte (vedi comma 5), tra gli esempi del codice c'è proprio la qualità di "commensale", esattamente ciò che è successo.
Il nostro sommo giudice farebbe bene a dare una ripassata ai fondamentali.
La corte generalmente deve giudicare su leggi rivolte a tutto il popolo, e quindi non ha gli anticorpi istituzionali per difendersi da queste mostruosità. La peculiarità del lodo Alfano invece è proprio di non essere una legge erga omnes, ma diretta a 4 persone precise. Anzi parte dell'incostituzionalità della legge consiste proprio nell'essere ad personam.
C'è qualcuno che spera in un intervento di Napolitano... e qualcuno che crede a babbo natale.
Grillo ha soprannominato questa cena "l'ultima cena della democrazia", e probabilmente non c'è molto lontano, direi che siamo all'antipasto.
La cosa preoccupante è che se loro sono i commensali e la portata principale è la democrazia, noi siamo il dolce.
[Link all'articolo completo]. Qui di seguito alcune parti:
"L'IDEA che ogni comportamento e ogni scelta personale di chi riveste funzioni pubbliche delicatissime debbano essere sottratti a qualunque obbligo - anche elementare - di opportunità, di misura e di riservatezza è semplicemente aberrante.
E rovescia nella sostanza delle cose - mentre pretende di applicarlo letteralmente - un caposaldo dell'etica liberale. Che questo modo di ragionare - dove si eleva l'anomia e l'arbitrio individuale a principio universale di condotta - sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c'è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt'altro che marginali.
La lettera aperta che il giudice Mazzella ha scritto al presidente del Consiglio è un testo troppo meschino per essere veramente preoccupante dal punto di vista culturale(...) Non c'è nella lettera una sola parola che rimandi all'altissima funzione ricoperta da chi la scrive, e ai doveri che essa prescrive - doveri scritti e non scritti: nulla di nulla; un silenzio agghiacciante.
Con questa lettera, il giudice Mazzella si colloca apertamente dal lato di una parte politica, di cui usa gli stessi argomenti, e dal cui fondo ideologico si rivela interamente catturato. A questo punto non ha importanza cosa si siano davvero detti nella cena con il presidente del Consiglio e con il ministro Alfano (...)Il giudice ora si è fatto parte - litem suam fecit, come si dice in quel latinetto che dovrebbe essergli familiare - e in un modo così clamoroso e intenzionale che sfiora la provocazione."
E rovescia nella sostanza delle cose - mentre pretende di applicarlo letteralmente - un caposaldo dell'etica liberale. Che questo modo di ragionare - dove si eleva l'anomia e l'arbitrio individuale a principio universale di condotta - sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c'è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt'altro che marginali.
La lettera aperta che il giudice Mazzella ha scritto al presidente del Consiglio è un testo troppo meschino per essere veramente preoccupante dal punto di vista culturale(...) Non c'è nella lettera una sola parola che rimandi all'altissima funzione ricoperta da chi la scrive, e ai doveri che essa prescrive - doveri scritti e non scritti: nulla di nulla; un silenzio agghiacciante.
Con questa lettera, il giudice Mazzella si colloca apertamente dal lato di una parte politica, di cui usa gli stessi argomenti, e dal cui fondo ideologico si rivela interamente catturato. A questo punto non ha importanza cosa si siano davvero detti nella cena con il presidente del Consiglio e con il ministro Alfano (...)Il giudice ora si è fatto parte - litem suam fecit, come si dice in quel latinetto che dovrebbe essergli familiare - e in un modo così clamoroso e intenzionale che sfiora la provocazione."
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